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Reati tributari: sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente e bene del "terzo sequestrato"

La sentenza 47911/2023 della Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto dalla figlia di un indagato, in qualità di terza sequestrata, avverso l'ordinanza con cui il Tribunale aveva rigettato, nell'ambito del procedimento per il delitto di omessa dichiarazione a carico del padre, la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo di un immobile di sua esclusiva proprietà.

Contro la predetta ordinanza la figlia dell’indagato, in qualità di terza interessata, ha dedotto violazione di legge lamentando che il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che il bene sequestrato rientrasse nella «disponibilità» del padre/indagato.

I giudici del Supremo Collegio hanno dichiarato inammissibile il ricorso sulla base della seguente motivazione:

«Secondo un indirizzo interpretativo del tutto consolidato nella giurisprudenza di questa Suprema Corte, “in tema di confisca per equivalente, la “disponibilità” del bene, quale presupposto del provvedimento, non coincide con la nozione civilistica di proprietà, ma con quella di possesso, ricomprendendo tutte quelle situazioni nelle quali il bene stesso ricade nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di esso venga esercitato tramite terzi, e si estrinseca in una relazione connotata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà” (Sez. 3, n. 4887 del 13/12/2018, dep. 2019, De Nisi, Rv. 274852 – 01).

In tale condivisibile prospettiva ermeneutica, deve osservarsi che il provvedimento impugnato si sottrae alle censure difensive, avendo valorizzato non solo il fatto, di intrinseco indiscutibile rilievo, che l'indagato risultava residente (con la moglie e l’altra figlia) nell’immobile per cui è causa (dove anche la ricorrente aveva la formale residenza, pur non avendovi mai abitato), ma anche le ulteriori circostanze per cui, da un lato, l'indagato era stato a condurre le trattative per l’acquisto (esprimendo l’intendimento di acquistare una casa per tutta la famiglia); d’altro lato, l’immobile era stato poi acquistato da Ma.C. accendendo un mutuo, ma la considerevole somma utilizzata per la ristrutturazione (ben 170.000 Euro tra il 2019 e il 2021) era stata erogata in parte da lei stessa (pur disponendo del solo introito di 2/3.000 Euro mensili, derivante dalla carica di amministratrice della [OMISSIS]), ovvero da quest’ultima (pur trattandosi di spese palesemente estranee all’attività di impresa). A fronte di tali evidenti criticità nella individuazione delle risorse necessarie da parte della ricorrente (tali da rendere priva di ogni plausibilità l’ipotesi, prospettata in ricorso, di un atto di liberalità della figlia in favore del padre), il Tribunale ha altresì posto in rilievo il contemporaneo, massiccio ricorso al prelievo di danaro contante da parte del padre della ricorrente (cfr. pag. 4-5 dell’ordinanza impugnata).

Si tratta di un percorso argomentativo che non solo consente di escludere che si versi in ipotesi di assenza o mera apparenza della motivazione, ma che appare in linea – specie nell’attuale fase cautelare – con la elaborazione giurisprudenziale in tema di “appartenenza”, nel senso precedentemente chiarito: essendo stata posta in rilievo, da parte del Tribunale, non solo il sicuro intervento dell'indagato nelle fasi dell’acquisto, ma anche una situazione di effettiva riferibilità a quest’ultimo dell’immobile per cui è causa
».
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