Infortunio mortale e responsabilità penale del capocantiere
Con l’allegata sentenza 30832/2022 la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto da un imputato condannato in relazione al reato di omicidio colposo per aver cagionato, con colpa consistita nella violazione di norme in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, la morte di un dipendente.In fatto, la dinamica dell’incidente che ha portato al decesso del lavoratore è stata così ricostruita dai giudici di merito: l’imputato rivestiva la funzione di capocantiere mentre il lavoratore deceduto quella di caposquadra. In particolare, quest’ultimo stava eseguendo un lavoro a circa quattro metri dal suolo, ove si era portato utilizzando il cestello di un auto elevatore. Durante la manovra di discesa del cestello, a causa della pendenza e della pioggia che aveva reso scivolosa la strada, il veicolo si mise in movimento e prese velocità concludendo la corsa in una scarpata a margine della strada. Di conseguenza, il lavoratore fu sbalzato fuori dal cestello e morì sul colpo.
In estrema sintesi, la difesa del ricorrente lamentava «vizio di motivazione in relazione alla concreta esigibilità della condotta di controllo e vigilanza, alla rimproverabilità soggettiva dell'agente, all'esistenza di una posizione di garanzia tale da rendere doverosa l'ipotizzata condotta alternativa lecita. Sostiene infatti che, poiché l'infortunio si verificò a lavori ultimati, l’imputato non poteva prevedere l'evento e non poteva neppure concretamente evitarlo. Inoltre, osserva che la linea era stata consegnata al committente, sicché, nel portarsi in quota, il lavoratore decise, in autonomia, di proseguire i lavori utilizzando il cestello dell'autoelevatore e, così facendo, creò una situazione di pericolo esorbitante dalla sfera di rischio governata dal capocantiere».
I giudici del Supremo Collegio hanno rigettato il ricorso affermando che:
– «Dalle sentenze di merito risulta, tuttavia, che l’imputato rivestiva la qualità di responsabile della sicurezza e quel giorno si recò nel cantiere verso le 8:30, vi rimase fino alle 10:20 e vi tornò alle 14:20 (pag. 20 della sentenza di primo grado); poté dunque rendersi conto che sul posto era presente l'autocestello, ma non impartì precise direttive alla squadra affinché quel mezzo non fosse utilizzato, né si assicurò che fossero adoperate - e quindi portate in cantiere - le scale, indicate come in dotazione all'impresa, ma non rinvenute dai tecnici della prevenzione sul luogo dell'infortunio. Da questa constatazione la sentenza impugnata desume: che l’imputato era titolare di una posizione di garanzia ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. n. 81/08; che tale posizione di garanzia non era venuta meno sol perché, intorno alle 14:30, la linea elettrica era stata riconsegnata all'Enel consentendole di riprendere l'erogazione di energia; che nel cantiere dovevano essere eseguiti lavori in quota, sicché l’imputato avrebbe dovuto impartire istruzioni riguardo all'uso delle attrezzature da lavoro idonee a tal fine, imponendo l'uso delle scale e vietando l'uso dell'autocestello per raggiungere i pali posti in corrispondenza di strade con pendenza superiore al 10% (quale era la strada che fu teatro dell'infortunio); che l'omissione di tale doverosa attività rese possibile il verificarsi dell'evento; che il rischio così concretizzatosi era prevedibile ed evitabile e in concreto l'imputato aveva il potere e il dovere di governarlo».
– «Il capocantiere, infatti, ha l'obbligo di vigilare affinché i lavori siano eseguiti nel rispetto delle norme per la prevenzione degli infortuni, e la «rinomata esperienza sul campo» del deceduto non esimeva il ricorrente da tale obbligo di vigilanza. L'imputato non poteva fare affidamento sull'esperienza del lavoratore deceduto perché non aveva impartito istruzioni al caposquadra in ordine alla necessità dì portarsi in quota utilizzando le scale e non l'autocestello e perché non si era assicurato che scale idonee allo scopo fossero state effettivamente portate in cantiere. Il principio di affidamento non può essere invocato, infatti, “da parte di chi sia già in colpa per avere violato norme precauzionali o avere omesso determinate condotte e, ciononostante, confidi che colui che gli succede nella posizione di garanzia elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, in quanto la seconda condotta non si configura come fatto eccezionale sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l'evento” (Sez. 4, n. 35827 del 27/06/2013, Zanon, Rv. 258124)».
– «Come noto, peraltro, in tema di reati colposi omissivi impropri, l'effetto interruttivo del nesso causale può essere dovuto solo a circostanze che introducano un rischio nuovo o comunque radicalmente esorbitante rispetto a quelli che il garante è chiamato a governare e tale non è certamente quello relativo all'utilizzo non corretto delle attrezzature di lavoro nel caso in cui sia stata omessa la doverosa vigilanza in proposito (sul concetto di rischio nuovo o radicalmente esorbitante cfr. Sez. 4, n. 123 del 11/12/2018, dep. 2019, Nastasi, Rv. 274829; Sez. 4, n. 20270 del 06/03/2019, Palmeri, Rv. 276238; Sez. 4, n. 22691 del 25/02/2020, Romagnolo, Rv. 279513)».
- «Nel caso di specie, il rischio verificatosi rientrava esattamente nella sfera di controllo del capocantiere, diretto superiore gerarchico del caposquadra e perciò preposto, ai sensi dell'art. 19 d.lgs. n 81/08, alla vigilanza sulle modalità di organizzazione del lavoro. Diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, non può rilevare in contrario che l'infortunio si sia verificato circa un'ora dopo la riconsegna della linea elettrica all'Enel. Come chiarito dalle sentenze di merito, infatti, l'attività che il caposquadra stava svolgendo (consistita nel sistemare il posto di lavoro per portare via le carrucole oppure - come parrebbe emergere dalla sentenza di primo grado - per preparare le attività che avrebbero dovuto essere svolte il giorno dopo) non era affatto estranea all'appalto ricevuto dalla CEIT».