Infortunio sul lavoro nelle organizzazioni complesse e responsabilità penale del datore di lavoro
La sentenza 51455/2023 della Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto da un amministratore di una SPA condannato, in concorso con il responsabile del cantiere e con il preposto-caposquadra, per il reato di omicidio colposo di un lavoratore.I giudici di merito avevano rimproverato al datore di lavoro, di non aver «delegato ad alcuno le funzioni di addetto alla materia antinfortunistica e responsabile della sicurezza dei luoghi di lavoro»; di non aver curato l'organizzazione del lavoro dei suoi dipendenti (ella avrebbe "evidenziato il disinteresse...circa gli aspetti organizzativi del lavoro dei suoi dipendenti presso il cantiere..."); di aver omesso "ogni controllo per il rispetto delle norme di sicurezza a tutela dell'incolumità dei propri dipendenti".
La difesa del datore d lavoro, tra gli altri motivi, lamentava vizio di motivazione per illogicità intrinseca e per travisamento della prova nonché per carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
I giudici del Supremo collegio hanno accolto il ricorso e annullato con rinvio motivando come segue:
«1. Il ricorso di A.A. è fondato nei primi due motivi che meritano di essere trattati congiuntamente. Tanto determina l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata.
1.1. Come si è scritto nella parte narrativa, i giudici di merito hanno rimproverato alla A.A., in quanto datore di lavoro, di non aver "delegato ad alcuno le funzioni di addetto alla materia antinfortunistica e responsabile della sicurezza dei luoghi di lavoro"; di non aver curatol'organizzazione del lavoro dei suoi dipendenti (ella avrebbe "evidenziato il disinteresse...circa gli aspetti organizzativi del lavoro dei suoi dipendenti presso il cantiere..."); di aver omesso"ogni controllo per il rispetto delle norme di sicurezza a tutela dell'incolumità dei propri dipendenti"; di non aver provveduto ad "assicurare un'adeguata formazione degli operai e delle figure tenute a coordinare le loro attività".
Senonchè tali affermazioni convivono, nel provvedimento impugnato, con dati di fatto almeno apparentemente dissonanti e non resi coerenti dal percorso motivazionale tracciato dai giudici di merito. Dalla sentenza di primo grado emerge che la A.A. aveva provveduto ad elaborare la valutazione dei rischi e a redigere il relativo documento, senza che al riguardo le sia stato mosso un qualche addebito; aveva altresì redatto il POS (Piano operativo di sicurezza), in relazione alla tipologia dei lavori da eseguire nel cantiere presso il quale si è verificato il sinistro; inoltre, aveva previsto articolazioni funzionali per lo svolgimento dei lavori in quel cantiere: l'organizzazione dei lavori definita dalla A.A. contemplava un responsabile di cantiere nella persona di B.B. e un caposquadra-preposto nella persona di C.C.. Entrambi sono stati condannati per non aver correttamente adempiuto agli obblighi che rispettivamente li gravavano in ragione di tali ruoli. Sicchè le affermazioni della Corte distrettuale appaiono manifestamente illogiche. In primo luogo, perchè manca la esplicitazione dei riferimenti fattuali che darebbero loro conforto. Nè sovviene sul punto la sentenza di primo grado; a pg. 40 (citata dalla Corte di appello per l'indicazione delle condotte addebitate alla A.A.) si afferma che la ricorrente aveva omesso di vigilare sull'operato del B.B. e del C.C. e segnatamente sul fatto che essi "si fossero attenuti alle disposizioni di legge e a quelle riportate nel DVR predisposto dalla società e dal DVR cantieri mobili e dal Pos..., nel far rispettare le misure di sicurezza previste per le operazioni di taglio piante, tra cui in particolare l'utilizzo di imbracatura di sicurezza con fune di trattenuta e dissipatore di energia collegate ad un ancoraggio sicuro, oltre che in relazione alla messa in opera di paratie per impedire che i tronchi tagliati e le ramaglie di risulta potessero scivolare a valle lungo il pendio travolgendo cose o persone". Ma non vi è alcuna esplicazione dei fatti dai quali si trae il giudizio; sicchè deve ritenersi che esso sia ricavato dal verificarsi dell'evento. Ma pur mettendo da parte questa grave lacuna motivazionale, emerge chiaramente da quanto riportato che già per il primo giudice il datore di lavoro aveva gestito il rischio facendone oggetto di valutazione tanto nei DVR che nel Pos; aveva, evidentemente, individuato le misure idonee ad eliminarlo o almeno ridurlo (imbracature di sicurezza, paratie); aveva anche posto concretamente a disposizione tali presidi, tanto da permettere di imputare al B.B. e al C.C., di non aver dato concreto seguito a quelle previsioni, consentendo discordi e scorrette modalità esecutive dei lavori.
Tanto che il primo giudice aveva limitato il rimprovero mosso alla A.A. all'aver omesso "una vigilanza puntuale e concreta verso i propri sottoposti"; omissione che avrebbe favorito "il consolidamento nel cantiere in esame di scorrette modalità operative e lavorative assunte come prassi dai lavoratori..." (ancora p. 40).
Così perimetrato il rimprovero, si ritiene che in tali affermazioni si annidino rispettivamente una violazione di legge e un vizio motivazionale.
La giurisprudenza di questa Corte insegna che, in tema di prevenzione infortuni sul lavoro, il datore di lavoro deve controllare che il preposto, nell'esercizio dei compiti di vigilanza affidatigli, si attenga alle disposizioni di legge e a quelle, eventualmente in aggiunta, impartitegli; ne consegue che, qualora nell'esercizio dell'attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi "contra legem", foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche (Sez. 4, n. 26294 del 14/03/2018, Rv. 272960).
Le modalità con le quali il datore di lavoro deve adempiere al dovere di vigilanza non sono esplicitamente definite dal legislatore (salvo quanto si osserverà a breve). Ma la stessa previsione (oggi ancor più cogente che in passato: si legga il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 18, comma 1, lett. b bis, non applicabile al caso che occupa in quanto introdotto successivamente al fatto per cui è processo, con L. n. 215 del 2021) di una necessaria articolazione di ruoli e funzioni sta ad indicare che il controllo richiesto al datore di lavoro non è personale e quotidiano e che, ogni volta che le dimensioni dell'impresa non consentano un controllo diretto, è affidato a procedure: report, controlli a campione, istituzione di ruoli dirigenziali e quanto altro la scienza dell'organizzazione segnali come idoneo allo scopo nello specifico contesto. Per quanto si proietti in un ambito differente, ovvero quello dei garanti a titolo derivato, anche il D.Lgs. n. 81 del 2008, art. 16, offre indicazioni di interesse con riguardo ad un garante a titolo originario qual è il preposto. Nella interpretazione giurisprudenziale, da quella previsione discende che l'obbligo di vigilanza del datore di lavoro in ordine al corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite non impone "la concreta, minuta conformazione delle singole lavorazioni - che la legge affida al garante - concernendo, invece, la correttezza della complessiva gestione del rischio da parte del delegato; ne consegue che l'obbligo di vigilanza del delegante è distinto da quello del delegato - al quale vengono trasferite le competenze afferenti alla gestione del rischio lavorativo - e non impone il controllo, momento per momento, delle modalità di svolgimento ‘ delle singole lavorazioni" (Sez. 4, n. 22837 del 21/04/2016, Rv. 267319). L'interpretazione è ulteriormente confortata dalla previsione del comma 3 dell'art. 16, secondo il quale l'obbligo di vigilanza "si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di verifica e controllo di cui all'art. 30, comma 4". Ovvero attraverso l'adozione di cautele procedurali.
Fuori del perimetro della delega di funzioni, può accadere che le dimensioni dell'impresa non richiedano una proceduralizzazione dell'attività di vigilanza sull'operato del preposto, sì da rendere doveroso il controllo diretto da parte del datore di lavoro. Ma quando quelle dimensioni o altre condizioni concrete rendano idoneo allo scopo solo un controllo a mezzo di ruoli o procedure, è alla predisposizione di essi che occorre guardare per valutare l'adempimento del datore di lavoro.
Quanto sin qui affermato trova eco nella giurisprudenza di questa Corte, la quale insegna che il datore di lavoro può assolvere all'obbligo di vigilare sull'osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi. Principio, peraltro, formulato in una fattispecie nella quale il datore di lavoro era stato ritenuto responsabile per il decesso di un lavoratore dovuto alla sopravvenuta inadeguatezza delle misure di prevenzione adottate in conseguenza del mutamento delle modalità esecutive delle lavorazioni rispetto a quelle previste nel POS; orbene, la Corte di cassazione ha annullato con rinvio la sentenza escludendo che essa fosse correttamente fondata sul fatto che, nonostante la nomina di un preposto presente al momento dell'infortunio, la mancata conoscenza della decisione di ricorrere a modalità esecutive diverse da quelle previste fosse da ricondurre ad una violazione dell'obbligo del datore di lavoro di controllare personalmente l'andamento dei lavori in cantiere (Sez. 4, n. 14915 del 19/02/2019, Rv. 275577).
Ciò rende evidente che limitarsi a richiedere una vigilanza ‘puntuale e concreta sui sottoposti (ovvero sul B.B. e sul C.C.) come fatto dai giudici di merito, senza dare conto delle ragioni per le quali nel caso concreto non fosse ex ante adeguata l'organizzazione datasi dall'impresa in relazione al controllo sull'operato dei preposti è una motivazione, alterna, o del tutto carente o espressiva di un fraintendimento del quadro normativo.
Nè sovverte tale giudizio il riferimento che già il giudice di primo grado opera alla circostanza di aver la A.A. permesso il consolidamento di scorrette modalità operative, ovvero di prassi non conformi alle previsioni prevenzionistiche. Il Tribunale asserisce che le attività lavorative erano state le condotte nel sito ‘anche nei giorni precedenti l'infortunio. Il dato, essenziale, va meglio specificato. A pg. 28 il Tribunale rammenta che la sottostazione (Omissis) venne consegnata alla New Service il (Omissis) (e vi sarebbe dovuta rimanere sino al (Omissis)); a pg. 27 si scrive che il(Omissis) le due squadre di operai non furono presenti in loco; ancora a pg. 27 si scrive che esistevano foto dell'(Omissis) che documentavano l'esistenza di alberi abbattuti lungo la scarpata qui di interesse; a pg. 26, citando le dichiarazioni dei dipendenti della società, il Tribunale scrive che al momento dell'infortunio essi avevano lavorato diversi giorni della sottostazione e "da almeno due giorni... nella parte di terreno circostante il campo fotovoltaico situato in pendenza da dove è precipitato il D.D.". Ne consegue, che nell'ipotesi più sfavorevole alla ricorrente, le scorrette modalità operative seguite per i lavori sulla scarpata erano state adottate dal 7 marzo. Orbene, anche a ritenere che i giudici di merito abbiano sostenuto l'esistenza di una prassi senza alcuna illogicità, e ciò perchè, in ragione dei fini perseguiti dalla disciplina, il concetto di prassi deve ritenersi allusivo ad un numero di occorrenze relativo e non assoluto, ovvero determinato in rapporto alla durata complessiva delle lavorazioni, il ragionamento risulterebbe ancora monco, poichè non è stata esibita alcuna valutazione della conoscibilità di tale prassi alla luce dell'organizzazione data al cantiere dal datore di lavoro e del breve tempo di ‘vigenzà della menzionata prassi. Invero, pure in presenza di una prassi dei lavoratori elusiva delle prescrizioni volte alla tutela della sicurezza, non è ravvisabile la colpa del datore di lavoro, sotto il profilo dell'esigibilità del comportamento dovuto omesso, ove non vi sia prova della sua conoscenza, o della sua colpevole ignoranza, di tale prassi. Vale rammentare E' nell'ambito I'Y del procedimento che ha visto formulare il principio appena riproposto questa Corte abbia annullato senza rinvio, "perchè il fatto non costituisce reato", la sentenza di condanna del legale rappresentante di una società di raccolta rifiuti per l'omicidio colposo di un lavoratore deceduto (perchè, dopo aver ritirato l'ultimo sacchetto di rifiuti, anzichè salire nella cabina del camion, si era aggrappato dietro allo stesso), rilevando che la vigilanza che i veicoli venissero utilizzati in maniera conforme alle prescrizioni contenute nel documento di valutazione dei rischi era stata delegata ai capisquadra presenti sui mezzi, e che era impossibile una diuturna vigilanza su mezzi circolanti ininterrottamente (Sez. 4, n. 32507 del 16/04/2019, Rv. 276797).
L'analisi dei motivi proposti dalla ricorrente va completata prendendo in esame l'ulteriore rimprovero mosso dalla Corte di appello, ovvero che la A.A. non aveva delegato ad altri la funzione di addetto alla materia antinfortunistica e responsabile della sicurezza dei luoghi di lavoro. Premesso che quella utilizzata dalla corte territoriale è nomenclatura che non trova corrispondenza in quella legislativa (si vedano il D.Lgs. n. 81 del 2008, artt. 2 e 89), quanto sopra esposto rende del tutto recessivo il tema del trasferimento ad altri degli obblighi datoriali delegabili, posto che nell'impianto della sentenza impugnata esso viene collocato a valle del giudizio di sussistenza della colpa oggettiva, per escludere che le rinvenute inosservanze cautelari debbano essere attribuite ad altri soggetti. Infatti, proprio la motivazione sulla sussistenza della colpa oggettiva dà luogo all'annullamento».