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Sequestro preventivo (finalizzato alla confisca diretta del profitto di un reato tributario) e procedure concorsuali

Con l’allegata sentenza 5255/2023 la Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto da un Curatore fallimentare avverso il provvedimento del Tribunale delle libertà che aveva rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta del profitto del reato di cui all’art. 10 bis D. Lgs. 74/2000, disposto nei confronti della fallita.

Con il primo motivo la curatela lamentava violazione di legge in relazione alla possibilità di eseguire il sequestro preventivo, successivamente alla declaratoria di fallimento, di beni rientranti nella disponibilità della curatela fallimentare - che sarebbe soggetto terzo estraneo al reato -. Più in particolare, il ricorrente richiamava la più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, il sequestro preventivo dei beni della società non può più essere eseguito, dato che i beni oggetto della predetta misura cautelare reale sono nella disponibilità della curatela fallimentare (Sez. 2, n. 19682 del 13/04/2022).

I giudici del Supremo Collegio hanno preliminarmente dato atto dell’esistenza – sul punto – di due contrapposti orientamenti di legittimità:

– «Si deve osservare che, sul punto oggetto di censura, vi è un contrasto interpretativo, in quanto, secondo un orientamento condiviso anche da alcune pronunce di questa Sezione, in tema di reati tributari, è illegittimo il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca di cui all'art. 12-bis D.Igs. n. 74 del 2000, su beni già assoggettati alla procedura fallimentare, posto che il vincolo apposto a seguito della dichiarazione di fallimento importa lo spossessamento e il venir meno del potere di disporre del proprio patrimonio in capo al fallito e l'attribuzione al curatore del compito di gestire tale patrimonio al fine di evitarne il depauperamento (ex plurimis, Sez. 3, n. 27706 del 24 giugno 2022, non mass.; Sez. 2, n. 19682 del 13/04/2022, Rv. 283225; Sez. 3, n. 3716 del 26/11/2021, dep. 2022, non mass.; Sez. 3, n. 47299 del 16/11/2021, Rv. 282618; Sez. 3, n. 14766 del 26/02/2020, Rv. 279382; Sez. 3, n. 45574 del 29/05/2018, Rv. 273951)».

– «Il richiamato orientamento giurisprudenziale è posto in dubbio da pronunce che hanno invece individuato in capo al fallito la titolarità dei beni sino al momento della vendita fallimentare (Sez. 3, n. 31921 del 04/05/2022, non mass.; Sez. 4, n. 864 del 03/12/2021, dep. 2022, Rv. 282567; Sez. 3, n. 3575 del 26/11/2021, dep. 2022, non mass.; Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, Rv. 277753; Sez. 4, n. 7550 del 05/12/2018, dep. 2019, Rv. 275129)».

Alla luce di quanto sopra, il Collegio ha ritenuto di condividere:

«l'orientamento per cui è legittimo il sequestro preventivo dei beni ricompresi nell'attivo fallimentare, in quanto la deprivazione che il fallito subisce dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell'equa soddisfazione di tutti i creditori mediante l'esecuzione forzata, non esclude che egli conservi, sino al momento della vendita fallimentare, la titolarità dei beni stessi (sul punto, Sez. 3, n. 31921 del 04/05/2022, non mass.; Sez. 3, n. 3575 del 26/11/2021, dep. 2022, non mass.; Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, Rv. 277753; Sez. 4, n. 7550 del 05/12/2018, dep. 2019, Rv. 275129)».

I Giudici hanno motivato tale opzione ermeneutica in quanto:

«questo diverso indirizzo ricorda come la giurisprudenza di legittimità, espressa dalle Sezioni civili della Corte, non abbia mai dubitato del fatto che la dichiarazione di fallimento di una società priva la stessa di ogni potere in relazione al suo patrimonio (eccezion fatta per i beni sottratti all'esecuzione concorsuale per disposizione di legge e per i beni sopravvenuti che non siano acquisiti dalla massa), ma non comporta di per sé alcuna alterazione della compagine sociale, i cui organi restano in funzione, sia pur con le limitazioni derivanti dall'intervenuta dichiarazione di fallimento, tant'è che, analogamente, la chiusura del fallimento fa venir meno lo "spossessamento" della società fallita, con il conseguente riacquisto da parte della stessa della libera disponibilità dei beni ma non comporta invece l'estinzione della società (Sez. 1, n. 9723 del 23/04/2010, Rv. 613181; Sez. 1, n. 11361 del 11/10/1999, Rv. 530561).

(...)

Se il fallimento comporta lo spossessamento dei beni ma lascia inalterata la struttura dell'ente fallito, logico corollario di tale affermazione è che la società continua ad esistere come soggetto giuridico, suscettibile di essere sanzionato (nei casi in cui sia prevista una responsabilità dell'ente ai sensi della legge n. 231 del 2001) o di essere privato, ope legis, dei beni costituenti il profitto o il prezzo di un reato tributario; e così, pertanto, si spiegano le pronunce che giustificano la perdurante vigenza del sequestro preventivo funzionale alla confisca riguardante una società fallita.

Ad ulteriore dimostrazione di ciò, oltre a quanto affermato dal Collegio cautelare in conformità alla pronuncia di Sez. 3, n. 15776 del 2020 - che merita adesione - la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, in tema di rapporti tra sequestro preventivo e fallimento, è legittimo il sequestro preventivo dei beni ricompresi nell'attivo fallimentare, in quanto la deprivazione che il fallito subisce dell'amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, vincolati dalla procedura concorsuale a garanzia dell'equa soddisfazione di tutti i creditori mediante l'esecuzione forzata, non esclude che egli conservi, sino al momento della vendita fallimentare, la titolarità dei beni stessi(Sez. 5, n. 52060 del 30/10/2019, Rv. 277753)
».

Si rimanda alla lettura integrale della motivazione della sentenza qui allegata.
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