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Sicurezza sul lavoro: responsabilità penale del dirigente delegato per DVR lacunoso?

La sentenza 39168/2024 della Corte di Cassazione si è pronunciata sul ricorso proposto dal dirigente delegato alla sicurezza ex art. 16 D. Lgs. 81/08 condannato per lesioni personali colpose commesse con violazioni delle norme in materia di sicurezza sul lavoro ai sensi del D. LGS. 81/2008.

La difesa del dirigente delegato lamentava
l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale essendo stato condannato perché il DVR non prevedeva le precauzioni necessarie a prevenire il rischio verificatosi.

I giudici del Supremo collegio hanno dichiarato il ricorso fondato e annullato la sentenza con rinvio per nuovo giudizio affermando quanto segue:

«1.2 La motivazione è in contrasto con i principi elaborati dalla giurisprudenza, e poi recepiti anche nel testo unico sulla sicurezza del lavoro, in tema di allocazione delle responsabilità per la violazione delle norme antinfortunistiche.

Giova al riguardo rammentare in premessa che, secondo affermazione consolidata nella giurisprudenza di questa Corte, il datore di lavoro - che, per altrettanto consolidato indirizzo, nelle società di capitali si identifica con il legale rappresentante (Sez. 4, n. 38991 del 4/11/2010, Quaglierini, non mass, sul punto; Sez. 4, n. 6280 del 11/12/2007 - dep. 08/02/2008, Mantelli, Rv. 238959; Sez. 4, n. 988 del 11/07/2002 - dep. 14/01/2003, Macola, Rv. 226699) - è il primo e principale destinatario degli obblighi di assicurazione, osservanza e sorveglianza delle misure e dei presidi di prevenzione antinfortunistica. Ciò dovendosi desumere, anche a non voler considerare gli obblighi specifici in tal senso posti a carico dello stesso datore di lavoro dal D.Lgs. n. 81/2008, dalla "norma di chiusura" stabilita nell'art. 2087 cod. civ., che integra tuttora la legislazione speciale di prevenzione, imponendo al datore di lavoro di farsi tout court garante dell'incolumità del lavoratore.

Va, quindi, ancora una volta ribadito che il datore di lavoro, proprio in forza delle disposizioni specifiche previste dalla normativa antinfortunistica e di quella generale di cui all'art. 2087 c.c., è il "garante" dell'incolumità fisica e della salvaguardia della personalità morale del lavoratore, con la già rilevata conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l'evento lesivo gli viene addebitato in forza del principio che "non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo" (art. 40, comma 2, cod. pen.).

È bensì vero che nelle imprese di grandi dimensioni occorre un puntuale accertamento, in concreto, della gerarchia delle responsabilità all'interno dell'apparato strutturale, così da verificare la eventuale predisposizione di un adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l'organo di vertice da responsabilità di livello intermedio e finale (così, Sez. 4, n. 4123 del 10/12/2008 - dep. 28/01/2009, Vespasiani; Sez. 4, 9 luglio 2003, Boncompagni; Sez. 4, 27 marzo 2001, Fornaciari, nonché Sez. 4, 26 aprile 2000, Mantero)
.

Altrettanto consolidato è però il principio che la delega non può essere illimitata quanto all'oggetto delle attività trasferibili.


1.3 Tali principi hanno trovato conferma nel D.Lgs. n. 81 del 2008, che prevede, infatti, gli obblighi del datore di lavoro non delegabili, per l'importanza e, all'evidenza, per l'intima correlazione con le scelte aziendali di fondo che sono e rimangono attribuite al potere/dovere del datore di lavoro (art. 17).

Trattasi: a) dell'attività di valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza al fine della redazione del documento previsto dal cit. D.Lgs., all'art. 28, contenente non solo l'analisi valutativa dei rischi, ma anche l'indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate; b) della designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (RSPP).


Tanto premesso, va osservato che la sentenza impugnata, alle pagine 9 e 10, ha dapprima reiteratamente sottolineato che sul datore di lavoro grava l'obbligo di valutare tutti i rischi; che l'obbligo di prevenzione gravante sul medesimo non è limitato al solo rispetto delle norme tecniche ma richiede anche l'adozione di ogni ulteriore accortezza necessaria ad evitare i rischi per i lavoratori; che lo stesso datore di lavoro ha l'obbligo giuridico di analizzare ed individuare, anche sulla base dell'esperienza e della scienza tecnica, tutti i fattori di pericolo concretamente presenti all'interno dell'azienda e, all'esito, redigere ed aggiornare il DVR.

Quindi, ha attribuito decisivo rilievo, ai fini in esame, alla delega conferita in materia di sicurezza al A.A., ritenendolo perciò - in quanto espressamente delegato, - alter ego del datore di lavoro -, tenuto a valutare adeguatamente i rischi ed a specificare regole descrittive del comportamento da osservare per prevenire il verificarsi dell'evento.

E tutto ciò, avendo pure affermato che il DVR era lacunoso, tanto da richiedere una integrazione con istruzioni che prevedevano differente, più articolata fase di lavorazione, con maggiori e più accurate cautele per l'operatore (pagina 11, ultima parte).

Tuttavia, in questa prospettiva, non si è adeguatamente confrontata con i fondamentali aspetti della disciplina in materia.


Il fatto stesso che si trattasse di aspetto dell'organizzazione ricompreso nel contenuto essenziale del documento di valutazione dei rischi avrebbe dovuto condurre ad escludere che i compiti e le responsabilità connesse al suo governo potessero formare oggetto di valida ed efficace delega a terzi, alla luce del testuale disposto dell'art. 17 T.U. cit. che, come detto, espressamente esclude la delegabilità della valutazione di tutti i rischi e della elaborazione del relativo documento (previsto dall'art. 28): attività che, ai sensi dell'art. 29, comma 3, deve essere "immediatamente" nuovamente eseguita "in occasione di modifiche del processo produttivo o della organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e sicurezza dei lavoratori"
.

In ciò, coglie nel segno la censura che contesta, in termini di vizi di violazione di legge e di motivazione, l'argomentazione contenuta in sentenza secondo cui la delega fosse idonea a trasferire allo stesso imputato compiti e responsabilità del datore di lavoro, connessi al fattore di rischio individuato ad origine dell'evento letale, trascurando di considerare che trattavasi di aspetto non contingente dell'organizzazione del lavoro all'interno del cantiere (le operazioni di carico di manufatti così imponenti, già considerate nel DVR - seppur superficialmente - riguardavano infatti una fase lavorativa non occasionale, particolarmente delicata e foriera di rischi).

Ciò, del resto, è confermato dalla circostanza, pure contraddittoriamente evidenziata in altra parte della motivazione, dove si sostiene che la riprova della originaria insufficienza delle previsioni contenute nel DVR era ricavabile dalla successiva adozione di istruzioni operative che, in via generale, disponevano adeguate cautele riferite alla fase di carico propedeutico al trasporto dei suddetti manufatti.


La sentenza impugnata si rivela perciò insufficientemente e contraddittoriamente motivata ed incorre nel denunciato vizio consistito nel non aver chiarito perché è stato ritenuto che il A.A. era tenuto a prescrivere le regole precauzionali integrative del DVR, idonee ad evitare il rischio concretizzatosi, in luogo del datore di lavoro ed in materia da quest'ultimo non delegabile
».
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