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Abbandono o deposito incontrollato di rifiuti: reato permanente ovvero istantaneo ad effetti permanenti?

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 8088/2022 – qui allegata – si è pronunciata in relazione ad un ricorso presentato da un imputato condannato per il reato di deposito incontrollato di rifiuti – ex art. 256 c. 2 Testo Unico Ambientale – di terre e rocce da scavo.

La difesa del ricorrente lamentava l’erronea applicazione della legge penale in quanto riteneva che la contravvenzione contestata avesse natura di reato istantaneo (e non invece, come ritenuto da giudici di merito, natura di reato permanente) e pertanto che lo stesso dovesse ritenersi estinto per intervenuta prescrizione già prima della sentenza di primo grado.

In considerazione di ciò, i giudici del Supremo Collegio preliminarmente hanno dato atto che «in ordine alla natura giuridica del reato di deposito incontrollato di rifiuti sono rinvenibili due orientamenti: per l'uno "il reato di deposito incontrollato di rifiuti è reato permanente giacché, dando luogo ad una forma di gestione del rifiuto preventiva rispetto al recupero ed allo smaltimento, la sua consumazione perdura sino allo smaltimento o al recupero" (Sezione 3 penale, 4 dicembre 2013, n. 48489; Sezione 3 penale, 23 giugno 2011, n. 25216); per l'altro il reato di abbandono e deposito incontrollato di rifiuti (d. lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 256, comma 2) ha natura di reato istantaneo, eventualmente con effetti permanenti, la cui consumazione si perfeziona o con il sequestro ovvero con l'ultimo atto di conferimento da parte del soggetto agente (Sezione 3, 15 ottobre 2013, n. 42343; Sezione 3 18 novembre 2010, n. 40850; Sezione 3 penale, 7 febbraio 2008, n. 6098)».

Subito dopo, però, hanno chiarito che «il descritto contrasto deve essere considerato più apparente che reale, alla luce delle seguenti precisazioni, secondo cui è necessario verificare le concrete circostanze che connotino in maniera peculiare la presenza in loco dei rifiuti».

Ed infatti, a tale specifico riguardo, la Corte ha affermato che «ogni qualvolta l'attività di abbandono ovvero di deposito incontrollato di rifiuti sia prodromica ad una successiva fase di smaltimento o di recupero del rifiuto stesso, caratterizzandosi essa, pertanto, come una forma, per quanto elementare, di gestione del rifiuto (della quale attività potrebbe dirsi che costituisce il "grado zero"), la relativa illiceità penale permea di sé l'intera condotta (quindi sia la fase prodromica che quella successiva), integrando, pertanto, una fattispecie penale di durata, la cui permanenza cessa soltanto con il compimento delle fasi ulteriori rispetto a quella di rilascio; tutto ciò con le derivanti conseguenze anche a livello di decorrenza del termine prescrizionale. Nel caso in cui, invece, siffatta attività non costituisca l'antecedente di una successiva fase volta al compimento di ulteriori operazioni, aventi ad oggetto appunto lo smaltimento od il recupero del rifiuto, ma racchiuda in sé l'intero disvalore penale della condotta, non vi è ragione di ritenere che essa sia idonea ad integrare un reato permanente; ciò in quanto, essendosi il reato pienamente perfezionato ed esaurito in tutte le sue componenti oggettive e soggettive, risulterebbe del tutto irragionevole non considerarne oramai cristallizzati i profili dinamici fin dal momento dei rilascio del rifiuto, nessuna ulteriore attività e residuando alla descritta condotta di abbandono (cfr. Sez. 3, n. 30910 del 10/06/2014, Rv. 260011 - 01; Sez. 3, n. 7386 del 19/11/2014, dep. 19/02/2015, Rv. 262410 - 01; Sez. 3, n. 6999 del 22/11/2017, dep. 14/02/2018, Rv. 272632 - 01)».
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